Culture-Antologie
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di Vittore Fiore da "Lo stivale allo spiedo" Alle dieci della sera alicette lucidissime dell’ultima pesca, gridate da marinai scalzi che percorrono di corsa strade squadrate come dadi del borgo murattiano; ve le vendono a manciate, un pugno cento lire. Altre grida? Altre voci? Bisogna avere un’idea di che cosa rappresenta il pesce crudo per i baresi (quelli autentici): una soddisfazione di vivere, di possedere. E del sorriso di commiserazione che sale verso chi, per ignoranza, per stomaco debole, o semplicemente per paura, si mette sul no e se ne sta lì a guardare, quasi trasecolato, il Mangiatore fortunato...
La faccia beata, solleva il polipetto arricciato, la seppiolina, il calamaretto un po’ più in su della testa. Poi il busto si arcua e il polipo sta sempre in alto come un campanello. C’è qualche istante leggero in cui stando così, Mangiatore e Polipo si guardano, poi addio celenterato, un rapido morso ad un cirro, ad un altro, mentre – conformatevi all’idea – denti e lingua si rimandano la polpa callosa e nodulata. Tratto da “Lo stivale allo spiedo” - a cura di P. Accolti e G.A. Cibotto - Canesi 1963 |